Grazie a Marco Soprani di Metallus per la bellissima recensione!
Sarà anche un dettaglio insignificante, ma quando una band ti sottopone all’ascolto i file in alta risoluzione del suo nuovo album – prima volta che mi accade dopo quasi trecento recensioni su questo sito – io ci vedo il desiderio di farti sentire tutto, e nel miglior modo possibile. Se poi il gesto nasce da una realtà tutta italiana, che da Termoli ha saputo guadagnarsi la stima e la fiducia di una casa discografica americana (Melodic Revolution Records ha sede in Florida), gli auspici sotto i quali comincia l’esperienza di questi quarantotto minuti non potrebbero essere migliori. Cominciamo dunque col dire che gli Ifsounds sono una formazione abruzzese che con “MMXX” raggiunge l’invidiabile traguardo dei sette dischi pubblicati: dagli inizi di “The Stairway” (2006), quello che oggi è un sestetto fronteggiato dalle voci di Pierluca De Liberato e Ilaria Carlucci ha sempre provato ad inseguire una propria via di fare le cose ed intepretare il prog, spaziando tra rock, jazz, classica, elettronica, con un occhio alla grande musica del passato da preservare ed evolvere in nuovi linguaggi. E la novità che fa il suo esordio con “MMXX” è la forte presenza corale, vera protagonista dei ventiquattro minuti che caratterizzano la prima traccia in scaletta: giustamente orgogliosi per i risultati raggiunti mediante un notevole studio e successivamente un particolare sforzo per incastrare gli arrangiamenti propri del rock con le armonie di un coro polifonico, gli Ifsounds utilizzano tutte le sonorità a disposizione per comporre paesaggi grandiosi e complessi, sempre tratteggiati con notevole eleganza.
La presenza corale, in particolare, è molto di più di un artificio retorico: tutto il disco, anche quando i cori polifonici non sono presenti, sembra strutturato intorno a questa idea di fusione, intersezione, circolarità. Le voci si insinuano dopo e durante gli assoli, le parti cantate passano dall’interpretazione dei ritornelli ad altre di mero contorno, spesso suggestionando mediante l’immediatezza di una potente espressione italiana. A questa sensazione di ordinata opulenza contribuiscono inoltre gli intermezzi elettronici, che ancora più del resto beneficiano della purezza clinica con la quale “MMXX” è stato registrato e prodotto: il senso del battito e del fluire che questi passaggi comunicano possiede la forza di creare una specie di bolla, dentro alla quale ogni cosa diventa possibile. Un intermezzo dal sapore jazz/fusion? Un assolo di chitarra dal sapore heavy metal? Nessun problema, perché gli Ifsounds dimostrano di potersi semplificare e decomprimere all’occorrenza, passando senza problemi da un linguaggio all’altro con una rapidità frutto di studio ed esperienza, mentre le parti vocali fungono da entusiastico raccordo e – come stelle luminose – guidano l’ascoltatore sulla via di casa.
Luce, si diceva. Perché nonostante una gestazione che risale in gran parte ai tempi della pandemia e del lockdown, un periodo che la formazione italiana definisce come il più assurdo, alienante e distopico attraversato dalla nostra generazione, questo settimo lavoro possiede anche la forza di offrire spiragli di trasporto e leggerezza (“MMXXII” e le sue escursioni dinamiche faranno la felicità degli audiofili, se non quelle dei metallari), affidando in più di un’occasione alle voci femminili, agli archi ed al pianoforte alcuni dei suoi sussulti più raffinati e rifiniti. Senza tralasciare i momenti nei quali prevale invece la contaminazione più rock ed immediata, cantati in inglese e con languido trasporto, che aggiungono a questo lavoro una dimensione certamente meno sperimentale (“Kandinsky’s Sky”) ma non per questo meno ponderata e riuscita.
Uno dei meriti più grandi ed evidenti di questo album è quello di utilizzare tutte le possibilità espressive del progressive per dare vita ad una continua girandola di emozioni e situazioni, piccoli spunti che invitano a riflessioni complesse ma senza che il pensiero diventi pesante nè lo sforzo si faccia eccessivo. Nonostante l’innegabile complessità delle composizioni e degli arrangiamenti, tanto più evidente durante la riproduzione della prima traccia, gli Ifsounds riescono a trovare facilmente la via del cuore grazie ad una felice alternanza di italiano ed inglese (“The Collector” ed il suo grande lavoro di basso), di semplicità ed intricatezza, di episodi infiniti ed altri di sintesi e presa quasi radiofonica (“Stendhal Syndrome”) ma che pure rappresentano – con una misteriosa forma di coerenza – sempre lo stesso spirito e la stessa band. Che l’esperienza offerta da questo disco sia radicalmente diversa da molti dei nostri ascolti è molto probabile: al tempo stesso, è altrettanto probabile che gli amanti della scoperta e dell’approfondimento troveranno in “MMXX” un distillato di arte, tecnica e studio che l’eccellente presentazione – e l’ascolto a ventiquattro bit – hanno saputo rendere ancora più coinvolgente e prezioso.
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