Ho appena ricevuto questa bella recensione apparsa su L’Isola che non c’era ad opera di Andrea Romero.
Grazie Andrea per la bella analisi e per le belle parole spese per il nostro lavoro.
Ormai si può affermare ufficialmente: anche in Italia il progressive è tornato; dopo i difficili anni ’80 e ’90, dopo essere stato bistrattato, considerato musica “pretenziosa”, “barocca”, “autoreferenziale”, tra l’altro trascurando proprio l’etimologia del termine, che di fatto è sinonimo di sviluppo, ricerca, innovazione, il genere che aveva caratterizzato gli anni ’70 fino all’avvento del punk vive una stagione felice e produttiva.
Gli IfSounds, in realtà, con il loro lavoro Apeirophobia, si posizionano in un’area un po’ particolare, non fosse altro che per i richiami “pinkfloydiani” che spesso emergono fra le tracce del loro lavoro, in special modo nella prima traccia, Anima mundi, e nell’intro di Summer breeze.
In ogni caso le atmosfere evocate, e caratterizzate dal particolare timbro vocale di Elena Ricci, sono marcatamente britanniche; c’è qualcosa del “Canterbury sound”, per via delle situazioni, a tratti, quasi pastorali, interpolato a passaggi che sfiorano un clima quasi dark, se non gotico, questo per dire che l’evoluzione, anzi, per meglio dire, la “progressione” del genere ha creato o coinvolto altri generi musicali.
Contrariamente a lavori simili, però, è stata curata molto l’amalgama degli strumenti, privilegiando un impatto corale, senza replicare le lunghe sequenze di assoli che spesso caratterizzavano le band settantiane; nonostante questo i singoli musicisti hanno di che sbizzarrirsi, dovendo comunque passare dalle atmosfere descritte prima a passaggi decisamente più duri, come in Last minute.
Se qualche appunto si può fare, è riferibile, ad esempio, al fatto che i suoni scelti siano, a volte, un po’ impersonali, quasi timorosi di voler emergere; ma forse è il desiderio di non strafare, visto che l’album, comunque, viene in buona parte occupato da Apeirophobia, una suite divisa in nove parti che permette alla band di sciorinare tutto il proprio repertorio.
E’ in questa composizione, così dilatata ed articolata, che la band esprime al meglio la propria ispirazione anche a certo prog tedesco, sempre rigorosamente settantiano, a band come Amon Duul, Nektar o, per certi passaggi, Tangerine Dream; è interessante, e per molti versi “consolante”, il fatto che sia tornata in molte band italiane la voglia di “lavorare” i brani senza porsi il problema della durata, del “singolo”, del ritornello “orecchiabile”.
Questa musica va ascoltata, a lungo, per essere apprezzata: ci vuole lentezza, tempo, ed una certa dose di ispirazione, quella stessa ispirazione che, necessariamente, coinvolge coloro che l’hanno messa su pentagramma.
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